Scrivo, un po’ intimorita, questo primo post su blogdidattici, innanzitutto per ringraziare Maria Teresa per la sua visita a “Il mare colore del vino” e per la proposta di link che accetto con entusiasmo. Le avevo del resto già parlato di un progetto di blog letterario aperto a tutti, ed eccolo ora pronto!
Quanto alle sue riflessioni, espresse nell’ultimo post, anch’io ho fatto un giro tra i blog creati dai professori e, soprattutto, dagli alunni e ho visto che molti sono stati lasciati in sospeso dopo appena due o tre post.
Inoltre ho notato che, tra i blog degli alunni, alcuni sono molto sciatti e pieni di errori di ortografia. La mia non vuol essere una critica saccente, ma una riflessione su come a volte gli sforzi dei professori, che cercano di coinvolgere gli alunni con i mezzi più moderni e, apparentemente, stimolanti, si scontrino con una certa apatia e indifferenza da parte dei ragazzi, e perciò cadano nel vuoto.
Credo che non sia né un problema di “tempi maturi” (siamo maturi per ogni novità, anzi cerchiamo solo continue novità, io credo), né di “costi della rete”, né di altre motivazioni legate agli strumenti informatici (vera carta vincente dell’istruzione futura, a mio parere, e ciò nel bene e nel male ); penso invece si tratti di un problema legato alla cultura in generale, alla scuola attuale ed alle attività didattiche di ogni tipo.
Mi spiego. Da liceale scrivevo pagine e pagine di diario, racconti, testi di canzoni ed avrei gioito di poter scrivere su un blog pubblico. I miei compagni curavano scrupolosamente il giornale di classe, esperienza coltivata con una certa passione per tutti e cinque gli anni di liceo. Non è che ora, ad appena 31 anni (da ieri tra l’altro) voglio già fare una predica sulle differenze tra generazioni; però io credo che la maggior parte degli studenti siano ora completamente disabituati a dedicarsi ad un’attività a lungo termine, che richieda sforzo e concentrazione prolungati nel tempo, come la stesura di un giornale-diario, elettronico o cartaceo che sia.
Secondo me usare la rete, i blog, gli strumenti informatici è un segno di grande apertura ed elasticità da parte dei docenti ed è un metodo che va lodato ed incentivato. Ma è fondamentale che alla base di ogni esperienza didattica vi sia una rigidità su certi punti. Bisogna far capire che nessuna attività può riuscire senza sforzo e applicazione; bisogna ribadire l’importanza della correttezza anche formale di un testo, soprattutto nel caso in cui venga reso pubblico; bisogna insegnare a non abbandonare nessun lavoro intrapreso, e questo forse si può fare offrendo anche meno stimoli, ma su cui lavorare meglio.
Forse sono solo chiacchiere. Ma, secondo me, un prof non può commentare un post “arronzato” e pieno di errori, scrivendo: “bravo, bravissimo, però guarda che forse c’è un errorino qui, la prossima volta stai un pochino più attento”, o addirittura ignorando gli errori. Vogliamo precludere ai ragazzi qualsiasi seppur minima delusione, e in parte facciamo bene. Ma prima o poi questi ragazzi, che non sanno esprimere un pensiero correttamente, si scontreranno con chi nella società farà loro sentire con forza il suo netto rifiuto (a meno che i datori di lavoro del fututo non diventino anch’essi sempre meno preparati per conoscenze e capacità) e allora saranno lenti all’Università, non troveranno un impiego, si sentiranno profondamente limitati, e sarà troppo tardi per rimediare.
Anch’io durante le mie supplenze, mi sono sentita spesso debole, volevo essere simpatica, farmi benvolere, non riuscivo ad essere, non dico dura, ma giusta, adeguavo i miei voti alle loro aspettative, gonfiate dall’abitudine di “buttare” gli 8 e i 9 che noi vedevamo solo dopo pomeriggi interi di impegno. Credo che quando ho ceduto alla stanchezza e alla paura, ho fatto molto male il mio lavoro, e ho dato poco ai ragazzi che, ho notato, apprezzano più una critica giusta che un complimento fatto per debolezza.
Forse ho esulato dall’argomento. Volevo solo dire che l’esperienza dei blog potrebbe e dovrebbe essere entusiasmante, come poteva essere venti anni fa quella del giornale di classe, ma che per ottenere risultati più duraturi, cosa a cui aspira giustamente Maria Teresa, bisogna pretendere di più proprio dai ragazzi, che sono i veri protagonisti di ogni esperienza didattica, mentre a volte diventano i passivi fruitori delle nostre ricerche, dei nostri “appassionati” tentativi di appassionarli…
Grazie, e mi scuso se sono apparsa “reazionaria”. Nei fatti non credo proprio di esserlo.